[…]
La memoria di Aquilina è principalmente affidata proprio ai documenti che riguardano la fondazione da parte sua del monastero delle Clarisse di Genzano, e cioè la relativa autorizzazione rilasciata da fra Roberto, arcivescovo di Acerenza, il 26 maggio 1321 e confermata con la bolla Piis desideriis da papa Giovanni XXII il 15 aprile 1327, nonché il suo testamento del 14 aprile dello stesso anno.
Come si verifica di frequente, né dell’autorizzazione del 1321 né del testamento esistono più i documenti originali, ma, rispettivamente, solo una copia della prima, risalente al 1867, e varie trascrizioni e traduzioni, talvolta solo parziali, del secondo, redatte nel 1501, nel 1706, nel 1874 (Salluzzi), nel 1928-1929 (Cherubino) e nel 1869 (Marotta). Arduo è stato, dunque, il tentativo di Battaglino di ricostruire il testo originale del testamento partendo dalle copie e traduzioni, e restituendogli la forma del latino medievale. Certamente condivisibili risultano comunque le considerazioni svolte dall’Autore in ordine alla genuinità dello stesso testamento pur in mancanza dell’atto antico. Ed, in effetti, quest’atto si prestava a qualche sospetto, considerando che la sua prima trascrizione è inserta in una captio defensae Paternigiosae del 4 settembre 1501, e cioè in un verbale della ricostituzione ovvero della immissione nel possesso (captio) di un appezzamento di terreno legato da Aquilina alle Clarisse di Genzano, che se lo erano viste sottrarre da Ferdinando I d’Aragona, a metà del Quattrocento. […]
Ma questi stessi documenti forniscono anche numerose altre notizie. Mentre nel provvedimento di autorizzazione arcivescovile si accenna genericamente ad un «monastero di monache» (monasterium monialium, p. 7), maggiori dettagli sulla fondazione vengono offerti dalla bolla Piis desideriis, ove si precisa che si trattava di un monastero con oratorio dedicato a S. Maria Annunziata (monasterium cum oratorio… sub vocabulo S. Marie Annuntiate, p. 19), nel quale dovevano installarsi otto monache dell’Ordine di S. Chiara osservanti la regola dettata da papa Innocenzo IV.
[…]
La regola seguita dalle Clarisse di Genzano era dunque verosimilmente quella approvata da Innocenzo IV il 6 agosto del 1247. D’altro canto, proprio quest’ultima, che consentiva la dotazione patrimoniale e la proprietà comunitaria, era seguita nei monasteri delle Clarisse fondati dalla regina Sancia, con l’unica eccezione proprio di quello di S. Croce di Palazzo a Napoli, ove è documentata con sicurezza l’applicazione della Regola redatta dalla stessa Santa.
La fondazione del monastero delle Clarisse di Genzano dev’essere quindi verosimilmente letta come il frutto dell’emulazione del modello regale offerto da Sancia. È appena il caso di ricordare che proprio all’inizio del 1321 la sovrana aveva dettato le Ordinationes per il suo monastero di S. Chiara a Napoli. Che il monastero napoletano costituisse un punto di riferimento per Aquilina di Monteserico, sembrerebbe dimostrato dalla sua disposizione testamentaria secondo la quale, se nel monastero genzanese non si fossero insediate le Clarisse, gli edifici conventuali, tutti i beni mobili, nonché i forni di Spinazzola o, in loro sostituzione, 80 once, dovevano essere attribuiti appunto al monastero della Santa Eucaristia (S. Chiara) a Napoli. La presenza di Aquilina presso la corte napoletana è comunque confermata dalla nomina della regina Sancia e di Maria di Valois, duchessa di Calabria e moglie dell’erede al trono, quali esecutrici testamentarie, e dai riferimenti a beni ricevuti o legati a vari membri della famiglia reale, contenuti nello stesso testamento.
Battaglino, dunque, utilizzando in maniera critica tutte le altre fonti documentarie note e disponibili, traccia il profilo di Aquilina, ne ricostruisce la genealogia, precisando i nomi dei mariti, delle figlie e dei discendenti di queste, e chiarendo, infine, le motivazioni della confusione talvolta ricorrente tra la figura di Aquilina e quelle di Bona Sforza e della stessa regina Sancia.
[…]
Interessanti sono infine le pagine dedicate dall’Autore alla trattazione della vita quotidiana, della casa, del cibo e del vestiario dei Genzanesi all’epoca di Aquilina, che, peraltro, in mancanza di fonti specifiche e circostanziate, vengono a costituire una ricostruzione più generale delle condizioni di vita di un insediamento rurale della Lucania, tipico dell’epoca angioina.
Quali ulteriori pregi di questo studio devono segnalarsi l’integrale traduzione in italiano di tutti i documenti in latino, sempre più necessaria per il comune lettore, e la pubblicazione in una nitida veste editoriale e grafica che agevola certamente la lettura.